Ecco i tre luoghi comuni sul sistema di gestione della qualità ISO 9001

 

Quante sono le organizzazioni che decidono di certificare un sistema di gestione della qualità ISO 9001 volontariamente?

E quante lo decidono perché devono?

Certificare il proprio sistema di gestione della qualità è una scelta volontaria.

In realtà, esistono tanti settori nei quali la certificazione ISO 9001 è praticamente “obbligatoria”.

Si pensi alle organizzazioni che partecipano ai bandi di gara, a quelle che si affacciano ai mercati internazionali oppure a quelle che ricevono richieste da committenti più forti contrattualmente, ecc.

In questo modo, se da un lato, la certificazione di un sistema di gestione diventa un elemento premiante e riduce i controlli e le responsabilità in caso di eventi negativi, dall’altro, genera un senso di “imposizione” che non solo la rende obbligatoria ma anche un intralcio, un fascicolo di carta inutile, una spesa in più!

Tristezza infinita.

Una tale percezione, infatti, mortifica l’operato dei consulenti, il cui obiettivo principale diventa unicamente quello di acquisire il cliente e talvolta anche quello degli auditor che si trovano a valutare sistemi di gestione della qualità “copia e incolla”.

Con questo articolo, non intendo cambiare un modo di pensare ed agire, ormai dilagante, ma semplicemente sensibilizzare i professionisti e le organizzazioni su alcuni “luoghi comuni” che tutti coloro che operano nel settore delle certificazioni hanno sentito pronunciare almeno una volta.

1. Luogo comune n° 1

“Abbiamo sempre fatto così”

Il significato esplicito una simile espressione è: “non c’è alcun motivo per cambiare e non abbiamo alcuna intenzione di farlo”. Talvolta capita che un consulente esterno, un RSG o un qualsiasi dipendente pensi di dare valore aggiunto proponendo un nuovo modo di gestire un processo che potrebbe risolvere un problema irrisolvibile, far guadagnare tempo, risparmiare fatica e carta.

La verità è che subito dopo la frase “ABBIAMO SEMORE FATTO COSì” si annoda come un cappio al collo di chi ha osato proporre un cambiamento. Posso dire con ragionevole certezza che questa sia la frase più usata ma anche la più pericolosa in assoluto. Per carità, non tutte le idee nuove sono buone ma non sono neanche tutte malvagie. Per scoprirlo, occorre accoglierle e vagliarle.

Perché questa espressione è tanto utilizzata?

Perché la maggior parte delle persone che lavorano in un’organizzazione sono conservatrici. Una volta acquisito il posto di lavoro, il ruolo, la mansione, la direzione di qualcosa, investono ogni energia per conservarla così com’è e ogni novità viene percepita come una minaccia.

Nei casi più disperati, i lavoratori sono attanagliati dal terrore della privazione con pensieri del tipo: chi introduce la novità vuole il mio posto? La novità causerà un cambio nell’organizzazione a mio danno? Sarò in grado di gestire ugualmente il processo?

Non capiscono che ogni struttura composta da individui che si danno un obiettivo comune si regge in equilibrio grazie al movimento, cioè grazie ad un miglioramento continuo che talvolta accade in modo indolore, talvolta, invece, accade in seguito ad un forte trauma.

Infatti, in senso letterale, l’equilibrio è la capacità che assicura ad un corpo la possibilità di mantenere e recuperare il proprio stato di equilibrio in seguito allo spostamento o al movimento.

Spesso la paura dell’instabilità ci porta a ricercare situazioni di comfort per non perdere l’equilibrio, questo fa sì che in caso di distrazione o eventi improvvisi la reazione alla destabilizzazione provochi traumi talvolta irreversibili.

Allora, quando ci viene proposto un cambiamento non scartiamolo a priori, non restiamo nella nostra situazione di comfort. Proviamo a perdere per un attimo l’equilibrio e dopo, probabilmente, scopriremo di aver fatto un passo in avanti.

 

2. Luogo comune n° 2

“E’ un discorso troppo difficile da far recepire ai nostri collaboratori: lo rifiutano”

Chi pensa che un collaboratore possa essere spaventato dall’applicazione di una qualsiasi procedura o istruzione operativa, probabilmente è il primo ad esserne terrorizzato.

Le persone dei livelli più bassi non hanno nulla da perdere nel dimostrare in maniera oggettiva e misurabile che lavorano bene e, spesso, hanno una gran voglia di farlo.

Chi può sentirsi franare il terreno sotto ai piedi è il livello medio, quello dei responsabili che avrà paura di perdere il controllo sulla propria area e di rendere evidenti eventuali lacune o una cattiva gestione del proprio settore organizzativo.

Queste persone, non solo non aiuteranno l’organizzazione nel processo di miglioramento ma potrebbero addirittura ostacolarlo.

 

3. Luogo comune n° 3

“Qualità e produttività sono incompatibili”

Chi pensa che il cliente cerchi soltanto il prezzo più basso sta commettendo un errore molto grave.

Se pensate, infatti, che il vostro cliente sia legato a voi solo perché avete dei prezzi competitivi, preparatevi a perderlo quando incontrerà qualcuno con dei prezzi più bassi dei vostri.

Oggi più che mai, per rimanere competitivi, il prezzo basso non basta, ci vuole la qualità.

La formula vincente è quella che consente di offrire il massimo risultato con il minimo sforzo. Questo si può ottenere soltanto lavorando in qualità e, quindi, possedendo un sistema di gestione della qualità. Perché?

Perché un sistema di gestione della qualità che oltre ad essere conforme sia anche efficace, permette di fare previsioni, di tenere i processi sotto controllo, di non arrivare impreparati ai cambiamenti, di ottimizzare i costi, ecc.

Disporre di un sistema di gestione della qualità aiuta a conoscere meglio la struttura di un’organizzazione, anche nel caso di processi che non ricadono direttamente sotto la propria responsabilità.

Conoscere i processi significa limitare i rischi e, di conseguenza, contenere i costi.

Altro che incompatibilità!!!

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Articolo di: Alessandra Mariano, aggiornato al 02 Maggio 2020

 

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